Si può veramente creare un’intelligenza artificiale sociale?

Al Palazzo delle esposizioni il secondo appuntamento di Libri in Agenda, con Vanni Rinaldi. Al centro del dibattito proprietà dei dati, rapporto tra AI e comunità, un utilizzo diverso delle nuove tecnologie. 

di Flavio Natale

lunedì 12 maggio 2025
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L’intelligenza artificiale potrebbe condurre l’essere umano a superare i suoi limiti cognitivi e biologici. Per alcuni questo è un aspetto positivo dell’innovazione, mentre per altri no. Ma quello su cui sono più o meno tutti d’accordo è che le enormi potenzialità di questo strumento non possono restare nelle mani di poche persone. E che per invertire la rotta bisogna fare qualcosa. Ad esempio, riappropriarci dei nostri dati e destinarli alla creazione di un’intelligenza artificiale che sia al servizio della comunità.

È questa la proposta al centro del saggio “Intelligenza artificiale sociale”, scritto dal giornalista Vanni Rinaldi e pubblicato da Rubbettino editore. L’evento, tenutosi il 9 maggio a Roma, presso il Palazzo delle Esposizioni, rientra nel ciclo di appuntamenti di Libri in Agenda, un’iniziativa curata da Giacomo Bottos, presidente di Pandora Rivista, che fa parte della programmazione del Festival dello Sviluppo Sostenibile 2025. A discutere con l’autore il giornalista Riccardo Staglianò e il tecnologo Massimo Chiriatti.

Il vero cambiamento che ha portato allo sviluppo dell’AI siamo noi, l’enorme quantità di dati che produciamo quotidianamente”, ha esordito Rinaldi nel suo intervento. Dati di cui siamo stati “spossessati”, che abbiamo donato in cambio del “libero” accesso alle piattaforme. Cosa fare, allora? Lasciare queste informazioni preziose alle big tech, oppure riappropriarcene, “prendere coscienza e agitarci, come direbbe Gramsci. E soprattutto organizzarci”. 

E dato che grazie alle nuove normative Ue la riappropriazione dei dati è possibile, “perché non proviamo a mettere questi dati insieme?”, si chiede Rinaldi, creando un’AI che serve la comunità, invece del contrario? Un esempio: potremmo utilizzare le foto che scattiamo quotidianamente ai cibi che mangiamo per fornire al Servizio sanitario nazionale dati utili per una medicina preventiva su scala nazionale. “Dobbiamo fare in modo che queste tecnologie abbiano un senso e producano effetti per noi cittadini, che diventino beni comuni artificiali. E propongo di non farlo da soli, servendoci degli strumenti normativi che già abbiamo”.

A seguire l’intervento del giornalista Riccardo Staglianò, che se ha concordato sull’importanza della riappropriazione e condivisione dei dati, ha messo in luce però le difficoltà di un’operazione del genere. “Tutti i tentativi di socializzazione dei dati a cui ho assistito hanno fallito. Ci vorrebbe qualcosa di più”. Inoltre, ha fatto notare Staglianò, bisogna rendersi conto che queste intelligenze artificiali ci danno molto: “È come se io lavorassi con due stagisti”. Per questo il giornalista di Repubblica ha proposto la creazione di un’AI pubblica, magari europea, che potrebbe mettersi veramente al servizio della comunità e che sia promossa dallo Stato più che dalla cittadinanza.

Il tecnologo Massimo Chiriatti ha affondato le mani nel rapporto tra persone e AI: “L’essere umano sbaglia spesso quando affibbia un nome a una tecnologia. La chiamiamo ‘automobile’ anche se non si muove da sola. E l’intelligenza artificiale non è intelligente”. Per Chiriatti, infatti, le AI servono per calcolare una serie di dati e informazioni fuori scala per la mente umana, con risultati che non sono deterministici ma probabilistici. Ma il pallino resta sempre in mano alle persone. “Stiamo cercando di dare la responsabilità alle macchine, ma non hanno responsabilità. La responsabilità e la creatività restano a coloro che ne hanno la proprietà”.

Oggi siamo ancora in tempo in Europa per riappropriarci dei dati”, ha concluso Rinaldi. “Magari anche creando AI piccole, non costose. Ma questa battaglia si vince solo se ci rendiamo conto del tempo in cui viviamo e della necessità di agire”.