Lo spazio diventa il nuovo bene comune da proteggere

Ecologia spaziale e new space economy al centro del terzo appuntamento di Libri in Agenda, con Patrizia Caraveo e Amedeo Balbi. Un invito a riflettere sulla sostenibilità dei lanci satellitari in orbita.

di Ilaria Delli Carpini

lunedì 19 maggio 2025
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La corsa allo spazio e il crescente protagonismo degli attori privati apre una nuova frontiera della competizione economica che trasforma lo spazio e fa emergere nuove sfide per l’umanità. Se ne è discusso il 15 maggio presso il Palazzo delle Esposizioni di Roma, durante il terzo incontro del ciclo “Libri in Agenda”, iniziativa curata da Giacomo Bottos, presidente di Pandora Rivista, e parte della programmazione del Festival dello Sviluppo Sostenibile 2025.

Al centro del dibattito, la presentazione del volume “Ecologia spaziale. Dalla Terra alla Luna a Marte” di Patrizia Caraveo, astrofisica e dirigente di ricerca dell’Istituto di astrofisica spaziale e fisica cosmica di Milano, che ha dialogato con Amedeo Balbi, astrofisico, divulgatore scientifico e saggista italiano.

L’incontro si è aperto con una riflessione a partire da un time lapse che mostra l’intenso traffico orbitale sopra i cieli del Montana, negli Stati Uniti, dove oltre cento satelliti attraversano lo stesso punto in un’ora. Caraveo ha sottolineato come il numero di satelliti in orbita sia aumentato in modo esponenziale dal 2015, in particolare a causa dell’ingresso massiccio degli attori privati, con SpaceX in prima linea. Ad oggi, su circa 11.400 oggetti attivi in orbita, oltre 7mila appartengono all’azienda di Elon Musk. Una concentrazione di controllo che pone interrogativi sulla gestione e sull’accesso a quello che dovrebbe essere un bene comune.

Non dobbiamo dimenticare che lo spazio è qualcosa che non appartiene a nessuno”, ha affermato Caraveo, “è un bene comune che imprenditori agguerriti come Musk stanno occupando, ma lui sta occupando qualcosa che appartiene a tutti, così come i pescherecci nel mezzo dell’Atlantico pescano pazzamente qualsiasi tipo di pesce commercialmente interessante, distruggendo la popolazione ittica dell’oceano”. E poi ha concluso: Bisogna evitare l’utilizzo eccessivo dei beni comuni. È una cosa che succede sempre, si chiama disastro dei beni comuni”.

L’argomento della space economy si intreccia con quello dell’inquinamento orbitale. Oltre ai satelliti operativi, ci sono migliaia di detriti, derivanti da satelliti dismessi, resti di lanciatori e frammenti di esplosioni, che popolano l’orbita terrestre, generando rischi per la sicurezza spaziale e per l’ambiente. Anche i lanci stessi hanno un impatto ambientale significativo. L’astrofisica ha sottolineato in merito: “I satelliti di Elon Musk, i Falcon 9, bruciano cherosene, il cherosene è un combustibile sporco perché libera pulviscolo nell’atmosfera, libera CO2 e sappiamo che l’anidride carbonica non faccia tutto questo bene, ma liberano anche composti dello zolfo che adorano reagire con l’ozono. Quindi i lanci sono pericolosi per lo strato dell’ozono, fanno un buco nello strato dell’ozono e il pulviscolo contribuisce al riscaldamento globale”.

Durante l’incontro, Amedeo Balbi ha sollevato alcuni interrogativi fondamentali: “È possibile che non ci sia una regolamentazione su una cosa così importante?

Caraveo ha evidenziato le gravi lacune normative sugli impatti ambientali dei lanci in orbita: “Per lanciare un satellite bisogna avere l’autorizzazione dell’organo competente dello Stato nel quale si vuole lanciare il satellite. Elon Musk ha chiesto l’autorizzazione all’organo competente che è il Federal communication committee, che gestisce le autorizzazioni per i lanci dagli Stati Uniti. Questo organo competente ha un vulnus di nascita, che è il fatto che il Federal communication committee per statuto non si deve occupare degli impatti ambientali, è esentato in modo totale dalla valutazione dell’impatto ambientale”.

Balbi ha aggiunto poi un’altra domanda: “Chi è che fa l’enforcement? Che succede se, un giorno, uno come Elon Musk decide di andare sul sito del primo allunaggio dell’Apollo 11 e decide che questo diventa attrazione turistica?

L’astrofisica ha risposto ponendo particolare attenzione ai depositi di ghiaccio nei crateri del polo Sud, utilizzabili per produrre combustibili e supportare missioni spaziali a lungo raggio: “Quando sentite parlare di ritorno alla luna, non è un ritorno alla luna in cui qualsiasi posto va bene. Tutti vanno al ‘Polo Sud della luna’ perché ci sono i crateri che hanno il ghiaccio e il ghiaccio è la benzina nello spazio, perché il ghiaccio può essere trasformato in idrogeno e ossigeno usando l’energia solare” e ha concluso con l’ipotesi che “se uno vuole fare un business, apre una stazione di servizio lunare, dove vende ai clienti idrogeno e ossigeno che sono combustibili per i razzi”.

L’incontro si è chiuso con una riflessione sulla necessità di ripensare il rapporto tra tecnologia, ambiente e governance globale, necessario per costruire un modello di sviluppo equo e sostenibile anche nello spazio.