Magister: un libro sulla scuola, avamposto civile del Paese che forma le coscienze

Il ruolo degli insegnanti, il riferimento ai classici, il senso di comunità: gli istituti scolastici sono questo e molto altro per Ivano Dionigi, autore del volume, come raccontato nel penultimo appuntamento di Libri in Agenda. 

di Elita Viola

mercoledì 4 giugno 2025
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“Su quali promesse abbiamo fondato la scuola? Noi, come insegnanti, siamo stati capaci di coniugare la specializzazione con la necessaria universalità del sapere? La scuola è ancora una comunità? Ci sono altri educatori al di fuori della scuola?”. È con questi spunti di riflessione che il professore e costituzionalista Sabino Cassese ha aperto il confronto sul nuovo libro di Ivano DionigiMagister. La scuola la fanno i maestri, non i ministri, edito da Laterza. L’evento, tenutosi il 28 maggio a Roma, presso il Palazzo delle Esposizioni, rientra nell’ambito di Libri in Agenda, un’iniziativa parte del Festival dello Sviluppo Sostenibile 2025 curata da Giacomo Bottos, direttore di Pandora Rivista. 

“La promessa costituzionale – ha continuato Cassese - era che i capaci e i meritevoli avrebbero avuto il diritto di accedere al livello più alto dell’istruzione. Tuttavia, abbiamo un numero di laureati molto basso. Ma come diventiamo capaci e meritevoli se non attraverso la scuola? Qual è il ruolo degli insegnanti in tutto questo?”. La necessità, secondo lui, è che i docenti “insegnino a imparare”. Cassese ha poi sollevato il tema della perdita di comunità all’interno delle istituzioni educative e dell’indebolimento dei “corpi intermedi” – come famiglia e partiti – che in passato avevano una funzione educativa. L’università, un tempo comunità di studiosi e studenti, è oggi spesso un’istituzione spersonalizzata e lontana dalla società in cui “si è ricreata l’opposizione tra town e gown, tra lo Stato civile e la toga che rappresenta l’università”.

Subito dopo è intervenuta Gabriella Caramore, saggista e autrice radiofonica, che si è soffermata sulla parola “magister”, definendola “impegnativa ma viva perché racchiude una dialettica: se pensiamo a magister come al “magistero” ad esempio della Chiesa, pensiamo all’insegnamento, mentre “magister” come ministro, si fa piccola”. Caramore ha poi parlato dell’insegnamento del latino a scuola oggi: “ha senso solo se aiutiamo a far capire che le parole sono fondate nella storia, nella tradizione, ma sono anche cosa viva quindi si trasformano, alcune muoiono, altre sopravvivono. Attraverso la lingua si può ricostruire un rapporto tra le generazioni. Oggi la prospettiva dell’AI sconvolge, ma questo è già avvenuto in passato, ad esempio quando si è passati dalla tradizione orale a quella scritta. Questo ci dovrebbe aiutare a non rimanere smarriti. Inoltre, Caramore ha evidenziato il potenziale sociale e politico delle materie classiche: “Ad esempio il problema delle migrazioni o della cittadinanza è stato già affrontato in passato. Questo ci può portare a uno studio vivo della lingua”.

Per lo scrittore Paolo Di Paolo, che ha partecipato all’incontro, “è estremamente necessario rimettere in connessione, in rapporto molto netto, scuola e politica, perché scuola è politica, nel senso più alto del termine. Ogni ora di lezione – ha continuato - dovrebbe contenere una parte che forma il cittadino. Lo studente, a scuola, dovrebbe essere già parte consapevole di una micro-società”. Di Paolo ha insistito sul concetto di scuola “non solo come luogo di trasmissione del sapere e delle competenze, ma di formazione dei futuri cittadini”, criticando parallelamente la dimensione eccessivamente burocratica dell’insegnamento che soffoca spesso il corpo docente. Infine, un riferimento al ruolo del “magister”, nel senso di maestro: “In una società che tende a non ammirare nessuno, i docenti che vengono ricordati sono quelli che hanno insegnato il dubbio, hanno consegnato un metodo. Inoltre, solo se il maestro ha il coraggio della debolezza, mostra sé stesso nella ricerca di senso, allora lì acquisisce la sua autorevolezza. La vulnerabilità è il presupposto emotivo per l’ammirazione”.

Infine, ha preso la parola l’autore del libro, il filologo e già rettore dell’Università di Bologna, Ivano Dionigi, che ha chiuso l’incontro con una riflessione a tutto tondo sul ruolo della scuola oggi, non solo come luogo di convivenza privilegiato tra adulti e giovani generazioni, ma anche come ambiente di formazione delle coscienze. “Chi dice che la politica deve essere fuori dalla scuola, dice una bestemmia. Dove la fai l’integrazione oggi? È a scuola che i ragazzi si capiscono, si intendono, si conoscono. L’unico luogo dove c’è questa convivenza quotidiana tra giovani e adulti è la scuola che - ha affermato - è ‘la casa dei ragazzi’ che sono la bellezza e la speranza di questo Paese perché, da Catania a Bolzano, vivono le stesse paure, gli stessi desideri, gli stessi sogni. Inoltre, per Dionigi la scuola dovrebbe essere uno spazio “et-et”, capace di unire tradizione e innovazione, memoria e futuro. Solo così sarà davvero un avamposto civile del Paese”. Un’ultima considerazione sul ruolo degli intellettuali: “Noi intellettuali dovremmo pagare una patrimoniale culturale, perché la ricchezza va redistribuita. A noi spetta il compito di parlare ai giovani, un compito sintetizzabile in tre “i”: interrogare, intelligere, invenire. La scuola deve servire a far capire la propria identità, il proprio destino, non a insegnare un mestiere, perché le tecnicalità vengono dopo. Una scuola che insegni a coltivare il dubbio, a cogliere la profondità e la relazione tra le cose, che consenta di scoprire il valore del “notum” e al contempo di inventare il “novum”.

di Elita Viola